Email Address
Info@themis.com
Phone Number
Fax: 001 (407) 901-6400
2. Camminare tra cura e ‘rabbia’ interiore
La nostra Casa famiglia è attraversata da una rete sotterranea di legami e distacchi: camminiamo come aspiranti equilibristi tra il prendersi a cuore e la rabbia interiore dei minori.
BAMBINI e RAGAZZI. L’«oggetto» dell’esperienza di una Casa Famiglia -come quella di una Comunità educativa- sono i minori «fuori famiglia», come li definisce la legislazione, cioè quei bambini/e, e ragazzi/e che, per gravi motivi genitoriali, sono allontanati dalle loro famiglie e hanno la necessità di essere collocati per un periodo di tempo, in una ‘famiglia’ o in una ‘comunità’ che permetta loro di crescere nel rispetto dei loro bisogni fisici, emotivi-relazionali e intellettivi, costruendo una base sicura per la strutturazione della loro identità. Nelle loro famiglie, infatti, le relazioni sono diventate talmente violente e/o povere educativamente da pregiudicarne la crescita. Comprendiamo tutti come, in alcune situazioni di povertà relazionale, possa essere utile porre una distanza temporanea tra i componenti della famiglia stessa: separare il figlio/la figlia dai genitori per permettere a tutti di ritrovarsi in un giorno che si spera sempre molto ravvicinato, in una dinamica più umana.
Questi bambini/ragazzi sono stati spettatori di litigi e di violenze (quando non li hanno subiti in prima persona), e si sentono più volte traditi dagli adulti di cui si fidavano. Sono bambini/ragazzi che hanno avuto figure di attaccamento primario che non avevano equilibrio, per cui per forza di cose si sono dovuti ‘inventare’ un modo per stare in piedi, per sopravvivere, per non soccombere. Hanno storie così difficili alle spalle che tante volte non riescono a comprendere che cosa sta accadendo ‘dentro di loro’ assumendo atteggiamenti di sfida, rivalsa, rabbia che sono più che legittimi. Quando purtroppo i legami familiari diventano lacci che opprimono anziché nodi che rassicurano, quando in famiglia si perde la distanza e il rispetto dell’altro, quando il clima familiare si fa cupo e minaccioso, può rendersi necessario un periodo di tregua, di riflessione, di accompagnamento educativo, oltre che sociale e psicologico.
Quando questi ‘figli’ arrivano da noi manifestano un grande bisogno di attenzione insieme a una rabbia inconscia a cui faticano in un primo momento a dare nome. È la rabbia di non poter avere un papà e una mamma all’altezza dei propri bisogni, e delle proprie esigenze; ma allo stesso tempo la rabbia di chi è stato allontanato da una realtà familiare che, per quanto dolorosa e fragile, è pur sempre la loro famiglia e la vita che era per loro familiare fino a quel momento. Si tratta di un perturbamento che genera insicurezza, sentimenti di solitudine e vuoto, rabbia e desideri di rivalsa.
Tutto questo esige di essere ‘accolto’ con rispetto, presenza costante e consapevole, perché da qui si possa ri-partire per costruire il proprio sé, consapevole di ciò che è stato, di ciò che è, di ciò che può essere. Del resto provate anche solo a immaginare di non poter contare sulla presenza premurosa di un papà, di una mamma, di fratelli e sorelle?
QUOTIDIANITÀ. Questi bambini/ragazzi, così come sono, sono accolti nella nostra Casa Famiglia, in una delle nostre due famiglie: siamo il riferimento costante, quotidiano, “sul pezzo” 24 ore su 24, 365 giorni, inverno-primavera, estate-autunno, dentro una storia di famiglia e il ritmo della sua quotidianità.
Con questi bambini e ragazzi abbiamo scoperto il valore e il senso della vita quotidiana e dei suoi gesti e segni: la quotidianità «educa», «ci» educa, perché viene ‘vissuta’ con la mediazione delle figure dei genitori e delle educatrici, in continua sinergia tra loro, e con gli amici volontari, secondo direzioni pedagogiche. La quotidianità diventa così una grande palestra di apprendimento. Piano piano, emergono nei bambini/ragazzi nuove consapevolezze, che derivano dal riuscire a ‘trasformare in esperienza’ ciò che si vive. Infatti, in casa famiglia ‘si fa esperienza’, dunque si apprende e quindi si cresce perché succedono eventi e si è aiutati a rielaborarli; perché si fanno cose e si è aiutati a scorgerne il senso; perché si compiono attività e si rilegge come ci si è trovati nelle situazioni.
Giorno dopo giorno, la quotidianità si ripete secondo schemi/routine che danno un ritmo all’esistenza. Le azioni che si fanno durante le giornate sono azioni semplici: alzarsi il mattino a una determinata ora e lavarsi in modo adeguato, fare colazione, andare a scuola vestiti in modo ordinato, ricordarsi le cose dello zaino, mangiare a pranzo in maniera decorosa senza alzarsi da tavola prima che tutti abbiano terminato, gestire il tempo del dopo scuola, del sabato e della domenica (e dell’estate) dove c’è un tempo per i compiti, e un altro per il divertimento… azioni possono sembrare banali, ma che in realtà in casa famiglia questi piccoli gesti, ogni attività che fai, ogni parola che viene detta, diventa qualcosa che accende percorsi, fa riflettere, che innesca -spontaneamente- spunti di riflessione per i bambini/ragazzi.
Con la quotidianità dei bambini/ragazzi, c’è la quotidianità dell’adulto: spese, pranzi e cene per una decina di persone per famiglia, lavatrici perennemente in funzione e tanti “prendi e porta” -per fortuna non alla scuola e alle attività ricreative e sportive, perché tutto questo le facciamo… in Casa-, ma agli incontri con le famiglie di origine, con la psicologa o con altri specialisti. Questi incontri non sono solo accompagnamenti da “taxista” perché ogni volta a questo momento si aggiunge un po’ di “movimento di emozioni” che, come adulto di riferimento, va accolto, gestito, elaborato e restituito al bambino/ragazzo.
Questa quotidianità fatta di piccoli gesti diventa abitudini in grado di produrre significativi cambiamenti nella vita dei bambini/ragazzi. Siamo abituati a pensare che l’arte della cura si esprima in sofisticati setting clinici; in realtà spesso è la condivisione della vita ‘con una intenzionalità educativa’ che ha effetti di cura e di grazia.
Inoltre la quotidianità in Casa famiglia educa perché vissuta insieme ad altri amici, esperienza che mixa l’individuale e il collettivo, ossia il gruppo dei compagni ma anche i figli delle famiglie e i loro amici.
E poi ci sono le dinamiche nel gruppo. Ognuno porta il suo pezzo nel rapporto con gli altri. Ognuno ha le proprie necessità, i propri bisogni, le proprie fragilità e tenere in equilibrio il tutto non è facile. Il tutto in una dimensione di orizzontalità: il gruppo educa attraverso confronti e conflitti: a volte gli obiettivi si raggiungono proprio perché, invece di insistere sul singolo ragazzo, si lavora sul gruppo per arrivare al singolo che da solo non sarebbe in grado di reggere.
Nella quotidianità di una casa famiglia non succedono miracoli, ma talvolta accadono cose che modificano le relazioni. Più di tutto, mediante il fare quotidiano -un fare allestito e presidiato educativamente- si consolida nei bambini/ragazzi quella fiducia interiore che è la base per sperare nel futuro. Si rafforza quella stima di sé che è il serbatoio a cui si attingerà nei momenti di difficoltà. E si capisce di poter contare sull’aiuto che viene dagli altri, nei momenti in cui si sentirà di non potercela fare con le proprie risorse.
Riteniamo che la famiglia che accoglie possa efficacemente svolgere questo compito in quanto è un dispositivo organizzativo articolato: fatto da una vita familiare, una équipe di educatori, da una quotidianità presidiata pedagogicamente, da un gruppo di pari che agiscono tra loro una funzione di auto mutuo aiuto. La quotidianità diventa luogo di apprendimenti -sia per l’educatore/genitore, sia per l’educando- nella misura in cui i genitori e gli educatori sanno declinare in modo professionale le proprie competenze.
SCUOLA. La Scuola per ogni figlio/a è un aspetto importante della sua crescita, come luogo di apprendimento ma anche come luogo di esperienza sociale, strutturazione delle emozioni, immaginazione del futuro. È così vero tutto questo che la Scuola è, in piccolo, la società di domani, del futuro. La Scuola della Cerioli è un presidio importante insieme alle famiglie accoglienti del nostro progetto per dare a questi ‘figli’ la possibilità di crescere a 360 gradi. La Scuola è stata di fatto il grembo di crescita di questo sogno, ma anche la nascita di amicizie inedite, e quotidianamente accoglie i suoi bambini / i ragazzi che diventano parte integrante del gruppo classe.
La collaborazione tra Scuola e Casa Famiglia si sviluppa a livello di Comunità religiosa, di insegnanti e di educatori. Ma c’è un livello che riguarda anche gli studenti: un bambino/ragazzo di Casa Famiglia con la sua vita e la sua storia è una ‘domanda’ aperta per tutti gli altri e, in un certo qual modo, per le famiglie. Si disegna davvero un piccolo laboratorio di vita e, se ben gestito, di società del futuro. Dal basso sta anche nascendo una RETE di famiglie e di insegnanti che amplierà questo progetto.
I bambini e i ragazzi accolti nella Casa Famiglia frequentano la Scuola della Cerioli nella sua dinamica scolastica-didattica, ma anche educativa. Essi sono accolti in una classe, sono accompagnati dagli insegnanti e, a volte, da insegnanti di sostegno e/o educatori. C’è sempre una presentazione agli insegnanti e agli educatori, e una collaborazione con i responsabili della Casa Famiglia. In occasione dell’Ingresso e della Pagella di fine quadrimestre c’è uno scambio proficuo tra Insegnanti ed educatori. Nel corso degli anni abbiamo vissuto un ‘provvidenziale perturbamento’ che ci ha fatti crescere tutti.
Ha ben sintetizzato bene, in un incontro con le famiglie, la Dirigente scolastica prof. Luciana Ferraboschi questa relazione tra Scuola e Casa Famiglia: «la Casa Famiglia è uno degli aspetti che fanno grande la Scuola Sacra Famiglia e che permette di chiudere il cerchio tra il carisma della Sacra Famiglia e l’inclusione sul piano educativo e sociale dei bambini ospiti della Casa. Se non ci fosse, a questa scuola mancherebbe un pezzo importante perché le occasioni di inclusione, pur aumentando la complessità di un sistema in quanto vi inseriscono momenti di disordine, aumentano la capacità di apprendimento del sistema stesso».
ADULTI ACCOGLIENTI. Nel corso di questi anni abbiamo sperimentato quanto sia centrale l’équipe educativa per la vita della Casa Famiglia, indispensabile sostegno all’agire delle singole vite. Perché la relazione educativa è un compito complesso “che si fa mentre le cose accadono”, e dove la scena educativa è in costante evoluzione, e dove le emozioni colorano e talvolta incendiano tutta la scena di lavoro servono pensiero e occhi di tutti.
La nostra Casa Famiglia è, attualmente composta, da due unità abitative, collocata dentro il Centro educativo scolastico ma distinte, in uno stile di collaborazione/partenariato con la Congregazione della Sacra Famiglia. È composta da due famiglie, una genitoriale e l’altra monoparentale, con la collaborazione di due educatrici.
La Casa Famiglia serve a questo: ad aiutare quel bambino, e di conseguenza quella famiglia, a ritrovare un funzionamento più adeguato alle necessità evolutive di chi si trova in una fase di crescita quanto mai delicata, a provare a ricostituire equilibri familiari che diano respiro alla soggettività di tutti. Ci diceva un’assistente sociale: «Ciò che vi chiediamo è di far vivere a Laura (nome di fantasia) ciò che è un suo diritto come bambina: vivere una famiglia, con i suoi tempi di vita, avere figure adulte sufficientemente buone». E insieme al bambino/ragazzino noi accogliamo anche tutta la sua famiglia e questo per due ragioni: perché chi entra in casa famiglia porta in sé e con sé quel mondo, e perché quel bambino/quella ragazzina, alla sua famiglia in qualche modo tornerà. Magari solo idealmente, oppure fisicamente. Magari dopo pochi giorni oppure tra diversi anni. In ogni caso i conti (i conti interiori) con la sua famiglia li dovrà fare!
L’équipe educativa prova a muoversi come gruppo di lavoro e non come somma di individui, per quanto formati e preparati. Questo è un punto metodologico forte, uno dei pilastri della nostra efficacia educativa. Non basta mettere insieme delle persone per quanto preparate per fare un’équipe, essa deve funzionare bene, perché se cosi non è, salta. E sono i bambini/i ragazzini a farla saltare. Cerchiamo per questo di far crescere un pensiero condiviso, essere una mente collettiva per far fronte alle inevitabili perturbazioni della vita!
Essere un’équipe aiuta anche noi a non cadere nelle provocazioni che i bambini/i ragazzi e le loro famiglie mettono in atto. E a ripristinare una relazione dove l’adulto è portatore di intenzioni educative, si assume responsabilità sugli esiti della relazione, mentre il bambino può permettersi di fare il bambino senza depotenziare l’adulto della sua capacità educativa.
Siamo équipe che prova a depotenziare la distruttività che alcuni bambini o ragazzi ‘agiscono’ è un processo delicatissimo, che necessita di una équipe. Se lasciato alla buona volontà, c’è il rischio di scivolare in comportamenti aggressivi o espulsivi nei loro confronti. Riuscire invece a mantenere un atteggiamento e uno sguardo educativi anche quando ci si arrabbia, anche quando non ce la si fa più, e si ha voglia di staccare… è il segno di una équipe funzionante.
Siamo équipe che cerca di condividere riflessioni sulle modalità manipolative delle relazioni, dove se ci finisci dentro non riesci più a costruire un lavoro educativo efficace con il ragazzino e con la sua famiglia.
SUPERVISIONE. La nostra professionalità si esprime anche attraverso il continuo lavoro su noi stessi come operatori -attraverso una supervisione mensile- perché la relazione è il nostro principale strumento di lavoro e ci mette di fronte anche al nostro vissuto e alle nostre fragilità, oltre che a quelle dei bambini/adolescenti. È diffusa la banalizzazione secondo cui basta <buon cuore> per lavorare in Casa Famiglia. In realtà servono COMPETENZE PROFESSIONALI che sono cognitive ed emotive: se un figlio/a sfida necessariamente i genitori per imparare a crescere, qui la sfida è ancora più grande perché tu non sei il suo genitore; perché c’è una rabbia legata alla separazione dai genitori; perché c’è la dinamica della crescita. Servono competenze COGNITIVE perché è necessaria una continua elaborazione e ri-calibrazione dei tuoi posizionamenti strategici. Servono competenze EMOTIVE perché bisogna essere capaci di stare in situazioni impegnative, dove si è sfidati, provocati, attaccati. Se tu educatore entri in simmetria con il ragazzo o con la famiglia, smetti di agire una funzione educativa.
Servono dedizione, preparazione e una grande motivazione che vada oltre il “mi piacciono i bambini”, perché davvero non basta. Per questo per accoglierli in modo autentico, occorre abbinare alla ‘professione’ che porta con sé un grande impegno sia fisico che emotivo, una grande sensibilità.
LA VITA INTERIORE (DIO). C’è in ognuno di noi un luogo che tendiamo a considerare come nostro, unico, intimo, nel quale tendiamo a riconoscerci per mantenere la fiducia e la certezza nella nostra esistenza. Mentre ci identifichiamo con noi stessi, le cose, le esperienze e le relazioni concorrono a costituire la nostra vita interiore quasi come un contenitore attraverso il quale riusciamo a sentirci, pensarci, pur riconoscendo che in ogni caso una parte di noi ci sfugge e non siamo in grado in molti casi di portarla alla luce.
Lo studioso Eugenio Borgna fa rilevare come avvertiamo dentro di noi una sorta di predisposizione naturale e spontanea al sentimento di autocoscienza di noi stessi soprattutto allorché percepiamo la nostra unicità e la sentiamo come un valore da difendere e da salvaguardare, tanto da sentire con certezza di averla dentro E. Borgna, L’attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano 2005; Id., Noi siamo un colloquio: gli orizzonti della conoscenza e della cura in psichiatria, Feltrinelli, Milano 1999]. È per tale ragione che l’interiorità può essere a noi presente sia come luogo fisico sia come luogo simbolico di noi stessi, nel senso che essa ci è presente tanto come oggetto quanto come soggetto orientato a confrontarsi con la parte più intima di sé, con quegli aspetti che in molti casi si manifestano come parti sotterranee di noi, mutazioni, trasformazioni e trasalimenti del nostro essere.
Questi bambini/ragazzi hanno una attitudine all’interiorità molto spiccata perché le prove della vita li ha affinati: custodire l’interiorità sarà la loro salvezza. Come educatori ciò implica abilitarli a sviluppare la consapevolezza dei problemi, delle paure e degli smarrimenti che l’uomo avverte di fronte a sé stesso, al senso della vita, dell’amore e della morte, ma anche nei confronti della ricerca della verità, in considerazione del fatto che l’educazione non coincide con l’individuazione di risposte predeterminate valide per tutte le situazioni né con affermazioni di principio prive di ricadute sulla vita personale.
Dentro a questa ricerca di sé, di tanto in tanto, parliamo e preghiamo Gesù e come ci abbia rivelato il Padre dei cieli.
Foto di Christiane da Pixabay
Équipe educativa: p. Antonio con Silvia e Marco (genitori) – Serena e Cati (educatrici)
10/09/2023