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1.
CHIESA della SANTA FAMIGLIA
Comunità educante (ORZINUOVI) - 2010
p.Antonio Consonni
Le mani premurose di Dio che ci accolgono all’ingresso
e il desiderio di abbandonare i vizi
L’avarizia è un rospo con una bocca ‘tagliola’. Occhi grandi, gambe piccole, così avida che si è mangiato anche il corpo.
L’avarizia riguarda il denaro e tutto ciò che esso significa: potere, stima, onore. Dice di chi ha un amore smisurato e ossessivo per il denaro, radice di tutti i mali. Rivela il tentativo (illusorio) di possedere e godere della vita, attraverso i soldi.
Gregorio Magno osserva che l’avarizia ha ‘sette figlie’: la «la durezza del cuore che impedisce di dare ai bisognosi», la «eccessiva ansia nel ricercare le ricchezze», la «violenza», l’«inganno», lo «spergiuro», la «frode», il «tradimento» cioè i mezzi illeciti per impossessarsi delle ricchezze.
La lussuria è un caprone che vanitosamente si specchia nella propria immagine.
La lussuria riguarda la sessualità e la sua riduzione a genitalità, e la ricerca dell’altro solo come oggetto sessuale e lo stordimento degli affetti come compiacimento erotico. L’apprezzamento cordiale del valore dell’eros dentro una autentica relazione tra uomo e donna permette di non ‘usare’ dell’altro unicamente per il proprio piacere (pornografia, disperazione e rivalsa), ma come altro da sé che ‘mi permette’ di accedere al senso della vita e alla sua bellezza, anche attraverso la sua corporeità.
L’invidia è uno sparviero non contento di sé che trova ossessivamente e illusoriamente nell’altro la sua identità, sua maschera.
L’invidia riguarda la mancanza di fiducia in sé. È figlia della frustrazione e di un senso di impossibilità a realizzarsi che si traduce in un odio distruttivo verso l’altro. È un sentimento doloroso le cui radici affondano nel profondo di noi stessi: il bisogno di riconoscimento. Quando questo manca, l’identità si fa più incerta, sbiadisce, si atrofizza ed entra in scena l’invidia che salvaguarda sé nella demolizione dell’altro. La ‘strategia’ dell’invidioso è questa: svalutare le persone percepite come «migliori» di sé non solo nei pensieri e nelle parole, ma anche danneggiando il malcapitato invidiato considerato colpevole di farsi apprezzare e stimare dagli altri più del dovuto.
Il vizio della gola è un maiale con una grande bocca spalancata che non riesce però a gustare ciò che sta girando nella sua bocca.
La gola riguarda il mangiare. Mangiare non è un puro e semplice atto biologico di sopravvivenza. Lo stomaco che, gorgogliando, reclama cibo, fa capire quanto siamo fragili e deboli, dipendenti e bisognosi, e così ci insegna a dire grazie. E poi, se «chi è a pancia piena, non pensa a chi l’ha vuota» forse solo una pancia vuota fa capire la stoltezza umana di chi «mangia da solo il suo pane senza che ne mangi l’orfano» (Gb 31,17).
Senso del mangiare è la comunione profonda con sé e con gli altri. Tant’è che la ‘comunione eucaristica’ è ‘mangiare’, uno dei verbi più ricorrenti nella Sacra Scrittura.
L’ira è un cinghiale fremente sdegno e ira, pronto all’attacco. Il coltello conficcato nel volto lo rende ancora più aggressivo.
L’ira «tra i vizi capitali» oppure «tra i sacramenti -come sostiene Giuseppe Giusti, tra il serio e il faceto? Fin dall’antichità si distingue tra lo sdegno come impulso naturale e il suo uso, che può essere in modo giusto o sbagliato, debito o indebito, buono o cattivo nei fini e nei mezzi. In questo secondo caso l’irascibilità (ira) diventa peccaminosa e viziosa, iracondia (ira mala) che, per odio, nel suo desiderio di distruzione, mira comunque a produrre danno, nutrendosi di invidia, di ‘occhio cattivo’.
L’accidia è un asino affaticato, gravato dal cielo sopra di sé, senza più voglia di ricominciare.
L’accidia descrive e sintetizza l’esperienza del desiderio, accompagnato da una certa tristezza, di fuggire dal compito che in quel preciso momento siamo chiamati a svolgere.
L’accidia dice la difficoltà di fare oggetto del nostro pensiero e della nostra volontà un bene che non è ancora presente; è un segno del conflitto che può nascere in noi per dover scegliere tra cercare una soddisfazione materiale immediata, pur piccola, e impegnarsi per raggiungerne una più grande, spirituale, ma posta nel futuro.
Davvero una grossa opportunità per un cammino di catechesi.