Le opere e l’amicizia di Gregorio Cividini con la Congregazione

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1.
CHIESA della SANTA FAMIGLIA

Comunità educante (ORZINUOVI) - 2010
p.Antonio Consonni

Le mani premurose di Dio che ci accolgono all’ingresso
e il desiderio di abbandonare i vizi

Da una domanda molto semplice («Come far entrare nella Chiesa della Santa Famiglia più luce per illuminare meglio i bei affreschi di Rosario Folcini?») è partito il desiderio della Comunità religiosa di ‘rivedere’ tutte le porte della Chiesa, compreso il portone di ingresso, che da porte in legno sono diventate tutte in vetro: così abbiamo sostituito la porta di ingresso e le porte interne con porte di vetro.
Si cominciò con la grande porta di ingresso e si decise che le maniglie fossero due mani grandi, le mani di Dio, che potevano accogliere i bambini, i ragazzi della Scuola e la gente, mani che ci avrebbero condotti a quel Gesù redentore dell’abside della chiesa. Sono belle quelle mani scolpite da Gregorio che devi toccare per entrare in chiesa e che ti accolgono come in uno spazio amico, in una casa. Le mani che ci accolgono ci spingono a rinnegare il male annidato alla soglia del nostro cuore.
All’interno della Chiesa c’erano altre tre porte tutte in legno che dovevano essere sostituite anche per l’usura del tempo. Il nostro desiderio era quello di continuare a ideare maniglie con le sculture di Gregorio, ma quale filone seguire? Se tutta la chiesa ci racconta la storia di Gesù -dalla promessa del Primo testamento, all’Infanzia – Vita pubblica – Passione, Morte e Risurrezione di Gesù – la prima Comunità cristiana, com’è che potevamo avvicinarci alla sua persona, dimostrargli il nostro affetto, amarlo?
Ci ricordammo che la Cerioli, nostra fondatrice, aveva dato grande valore all’esercizio di abbandono dei vizi e all’assunzione della virtù come il modo più concreto, più vicino ai bambini e ai ragazzi, alle suore e ai religiosi, tutti, per amare la persona di Gesù… e perciò abbiamo cominciato a seguire questa pista di ricerca, e siamo arrivati ai vizi capitali (Nota 1). Ecco il male ha un nome e diverse ‘facce’, e sono i vizi, i sette vizi capitali.
Proviamo ora ad analizzare le singole maniglie-sculture, e lasciamoci istruire anche dai loro profondi significati.

SUPERBIA. LEONE

La superbia -da cui nascono tutti i gli altri vizi: l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira, l’accidia/la pigrizia- è rappresentato da Gregorio come un leone: tutta criniera come un pallone gonfiato, due zampe possenti pronto ad aggredire. La superbia è il contrario della fede, della fiducia nella vita e della fede in Dio.
La superbia è comportamento di chi mette il solo proprio IO al centro disconoscendo la propria creaturalità, il debito della coscienza da una promessa. La superbia trascina con sé una costellazione di peccati: l’orgoglio, l’arroganza, l’arbitrio, la tracotanza, l’apparenza esteriore, il desiderio di abbassare gli altri per emergere. Il fenomeno sociale è rappresentato dalla discriminazione.
Il miglior antidoto per la superbia è coltivare la mitezza che non è da scambiare con la ritrosia, la timidezza o la mediocrità; con la paura di impegnarsi, di confrontarsi apertamente e lealmente con gli altri; con la vigliaccheria e l’incapacità di donare con le parole e i gesti il positivo di cui siamo portatori [cf. RAVASI, Elogio della Mitezza. BOBBIO, Elogio della mitezza come virtù pubblica]
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AVARIZIA. ROSPO

L’avarizia è un rospo con una bocca ‘tagliola’. Occhi grandi, gambe piccole, così avida che si è mangiato anche il corpo.
L’avarizia riguarda il denaro e tutto ciò che esso significa: potere, stima, onore. Dice di chi ha un amore smisurato e ossessivo per il denaro, radice di tutti i mali. Rivela il tentativo (illusorio) di possedere e godere della vita, attraverso i soldi.
Gregorio Magno osserva che l’avarizia ha ‘sette figlie’: la «la durezza del cuore che impedisce di dare ai bisognosi», la «eccessiva ansia nel ricercare le ricchezze», la «violenza», l’«inganno», lo «spergiuro», la «frode», il «tradimento» cioè i mezzi illeciti per impossessarsi delle ricchezze.

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LUSSURIA. CAPRONE

La lussuria è un caprone che vanitosamente si specchia nella propria immagine.
La lussuria riguarda la sessualità e la sua riduzione a genitalità, e la ricerca dell’altro solo come oggetto sessuale e lo stordimento degli affetti come compiacimento erotico. L’apprezzamento cordiale del valore dell’eros dentro una autentica relazione tra uomo e donna permette di non ‘usare’ dell’altro unicamente per il proprio piacere (pornografia, disperazione e rivalsa), ma come altro da sé che ‘mi permette’ di accedere al senso della vita e alla sua bellezza, anche attraverso la sua corporeità.

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INVIDIA. SPARVIERO

L’invidia è uno sparviero non contento di sé che trova ossessivamente e illusoriamente nell’altro la sua identità, sua maschera.
L’invidia riguarda la mancanza di fiducia in sé. È figlia della frustrazione e di un senso di impossibilità a realizzarsi che si traduce in un odio distruttivo verso l’altro. È un sentimento doloroso le cui radici affondano nel profondo di noi stessi: il bisogno di riconoscimento. Quando questo manca, l’identità si fa più incerta, sbiadisce, si atrofizza ed entra in scena l’invidia che salvaguarda sé nella demolizione dell’altro. La ‘strategia’ dell’invidioso è questa: svalutare le persone percepite come «migliori» di sé non solo nei pensieri e nelle parole, ma anche danneggiando il malcapitato invidiato considerato colpevole di farsi apprezzare e stimare dagli altri più del dovuto.

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GOLA. MAIALE

Il vizio della gola è un maiale con una grande bocca spalancata che non riesce però a gustare ciò che sta girando nella sua bocca.
La gola riguarda il mangiare. Mangiare non è un puro e semplice atto biologico di sopravvivenza. Lo stomaco che, gorgogliando, reclama cibo, fa capire quanto siamo fragili e deboli, dipendenti e bisognosi, e così ci insegna a dire grazie. E poi, se «chi è a pancia piena, non pensa a chi l’ha vuota» forse solo una pancia vuota fa capire la stoltezza umana di chi «mangia da solo il suo pane senza che ne mangi l’orfano» (Gb 31,17).
Senso del mangiare è la comunione profonda con sé e con gli altri. Tant’è che la ‘comunione eucaristica’ è ‘mangiare’, uno dei verbi più ricorrenti nella Sacra Scrittura.

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IRA. CINGHIALE

L’ira è un cinghiale fremente sdegno e ira, pronto all’attacco. Il coltello conficcato nel volto lo rende ancora più aggressivo.
L’ira «tra i vizi capitali» oppure «tra i sacramenti -come sostiene Giuseppe Giusti, tra il serio e il faceto?  Fin dall’antichità si distingue tra lo sdegno come impulso naturale e il suo uso, che può essere in modo giusto o sbagliato, debito o indebito, buono o cattivo nei fini e nei mezzi. In questo secondo caso l’irascibilità (ira) diventa peccaminosa e viziosa, iracondia (ira mala) che, per odio, nel suo desiderio di distruzione, mira comunque a produrre danno, nutrendosi di invidia, di ‘occhio cattivo’.

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ACCIDIA. ASINO

L’accidia è un asino affaticato, gravato dal cielo sopra di sé, senza più voglia di ricominciare.
L’accidia descrive e sintetizza l’esperienza del desiderio, accompagnato da una certa tristezza, di fuggire dal compito che in quel preciso momento siamo chiamati a svolgere.
L’accidia dice la difficoltà di fare oggetto del nostro pensiero e della nostra volontà un bene che non è ancora presente; è un segno del conflitto che può nascere in noi per dover scegliere tra cercare una soddisfazione materiale immediata, pur piccola, e impegnarsi per raggiungerne una più grande, spirituale, ma posta nel futuro.

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Autore

  • p. Antonio Consonni
  • p. Gianmarco Paris
  • p. Gianluca Rossi
  • prof. Paolano Ferrantino

Data

  • 06/08/2023

Rubrica

  • Esperienze ITALIA

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