Le opere e l’amicizia di Gregorio Cividini con la Congregazione

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LA BIOGRAFIA

Prof. Paolano Ferrantino

Biografia

Da padre manovale e madre casalinga, Gregorio Cividini nasce a Martinengo (Bergamo) nel 1951. Già alle scuole elementari si appassiona al disegno, ama modellare l’argilla e intagliare il legno. Legge con passione libri di storia dell’arte, sfoglia con interesse cataloghi e riviste e, alle medie, trova nel suo insegnante e pittore, Pozzoni, tutta la sensibilità di un vero e proprio maestro che sollecita in lui la passione per l’arte, lo incoraggia e scopre il suo talento per la scultura. Altra figura fondamentale che in questo periodo favorisce il suo esordio di artista è certamente quella del nonno materno, falegname raffinato, da cui apprende il senso tecnico dell’operare con strumenti idonei ed efficienti.

Nel 1966 si iscrive al Liceo Artistico di Bergamo e, dopo il diploma, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove è tra i più assidui del Corso di Luciano Minguzzi, importante scultore del Novecento e a cui si deve la realizzazione della quinta porta del Duomo.

Concluso il ciclo di studi accademici continua la sua ricerca plastica alternandola, poco dopo, con l’esperienza dell’insegnamento di scultura al Liceo Artistico di Bergamo, prima, e successivamente in quello di Lovere.

La sua prima mostra è del 1970 a cui hanno fatto seguito diverse altre personali in spazi pubblici e in gallerie private e molte partecipazioni in rassegne e premi collettivi.

 

La scultura di Gregorio Cividini

«Fare scultura significa compiere un atto che ha in sé qualcosa di mistico e spirituale» e rinvia esattamente a una concezione dell’arte come continua ricerca del nucleo primigenio, origine e fine di tutte le cose: questo è stato scritto per Constantin Brancusi e vale, secondo me, per molti aspetti, anche per la scultura di Gregorio Cividini, vicina a quella di Hernry Moore, ma anche e soprattutto a quella dello scultore rumeno. Immaginario certamente diverso, stile personalissimo, quello dello scultore martinenghese, ma, a ben guardare, il suo cammino artistico ha almeno questo tratto in comune con Brancusi e cioè il fatto di essere sempre ispirato e caratterizzato dalla continua ricerca essenziale delle forme.

Dopo una brevissima fase segnata dal realismo, Cividini vive il fascino dell’arte primitiva e soprattutto africana, e le sue prime opere degli anni ’60 sono influenzate dalla profonda bellezza di quelle sculture totemiche e simboliche; in esse infatti, come è stato osservato da Laura De Campo, «si ravvisa la presenza di una certa qual parentela con quelle raffigurazioni magico-emblematiche usate da tante arti primitive, antichi idoli sacri». Le sculture africane sono perciò la fonte di quella forte valenza simbolica che diventerà poi la cifra peculiare e onnipresente in tutte le opere di Cividini. È vero: un certo realismo elaborato o connotato di bellezza classica rimane quasi sempre nelle sue sculture, ma la composizione e le forme organiche sono ogni volta più ricche di segni che rinviano ad altri segni e poi ad altri ancora, in una trama sempre sapientemente profonda ed espressiva. Questo accordo sapiente di realismo e simbolismo che costituisce un altro aspetto importante della scultura di Cividini è stato giustamente segnalato da Maurizio Bonfanti, il quale scrive esattamente: «… le sculture di Cividini hanno sempre una radice che rimanda alla realtà delle cose, non sono mai pura astrazione». Ma l’originalità di Cividini – accompagnata da una sicura e piena padronanza della forma – va ben oltre e riguarda la scelta sempre varia e sapiente dei materiali, i singolari accostamenti degli stessi, la capacità di sperimentare di continuo nuove tecniche. A questo proposito scrive molto acutamente Fernando Noris: «Totem e torsi umani e cariatidi vengono a strutturarsi dagli anni ’70 dello scultore, per aggregazioni di incastri [ o meglio, “ un magico concatenarsi di incastri fino ad un drammatico stupore conquistato con perizia estrema, come lo definisce Gianriccardo Piccoli] tra legni, ferri e pietre: Legni di olmo e di roveri incisi e graffiati come gradoni di cava, in forza di squarci d’ascia e ruvidezza di sgorbie, a convivere con morbidezze imperturbabili e amorosamente tornite. In queste composizioni, i ricami creati dal viaggio di tarli e insetti, o dall’usura del tempo, sono evidenziati da Cividini con trattamenti cromatici a barbettina, che ne evidenziano le labirintiche evoluzioni, al di sotto di cortecce ormai dissolte, come mappe di un’evoluzione sotterranea e perenne […]. Se poi è il turno dell’avorio, la delicatezza dello scultore diviene quella di un incisore miniaturista, che lo accarezza fino a dare alla materia la levità malleabile della cera».

Da tutto ciò emerge, tra l’altro, anche un tratto peculiare dell’arte di Cividini rispetto a quella di Brancusi. In Brancusi la levigatezza delle superfici è estrema; nello scultore martinenghese non solo non è mai estrema ma è anche quasi sempre abbinata a tratti graffiati o comunque caratterizzati da segni profondi e una certa ruvidezza.

Un altro elemento caratteristico della scultura di Cividini è il piedistallo. Esso fa parte dell’opera e contribuisce con la sua forma e il suo colore a liberare la tensione e l’energia racchiusa nella forma che vi appoggia. Ed è questo il motivo per cui in ogni opera di Cividini il basamento è sempre il frutto di un lungo lavoro eseguito con grande attenzione e finezza.

Oltre a Brancusi, come si è detto all’inizio, la scultura di Cividini è vicina a quella di Herry Moore. Cividini visita la grande mostra di Henry Moore organizzata negli spalti del Forte del Belvedere a Firenze nel 1973 e di fronte a quei lavori rimane profondamente affascinato. Il motivo di tanta ammirazione è proprio nel fatto che lo scultore martinenghese si riconosce negli stessi gusti artistici di Moore. Come Moore infatti Cividini è affascinato dalle forme della natura: i ciottoli levigati dai fiumi, le rocce corrose dai venti, le incantevoli geometrie delle conchiglie. E come Moore lo scultore martinenghese è fortemente attratto dalla fondamentale aspirazione tesa ad evidenziare la complementarietà tra spazio e forma, vuoto e pieno.

 

Soggetti

A partire dagli anni ’80 la produzione artistica di Cividini, prendendo spunto dalle opere di Moore, si concentra sulle forme organiche (figure, torsi); seguono poi i “giochi” (che hanno come soggetto “Le marionette”) e svariati lavori concernenti arredi e scultura sacra e anche profana, infine una nutrita serie di opere sulla maternità e sul Cristo morto.

È datato 2011 il Cristo che certamente rappresenta il suo capolavoro: in esso infatti la piena e sicura padronanza della forma e l’insieme delle qualità più significative e personali dell’artista si ritrovano tutte. Si tratta di un Cristo risolto a tre quarti rappresentato con la testa reclinata, senza braccia che s’intuiscono in uno slancio verticale, dove la testa chinata s’incunea nella biforcazione delle braccia. La figura è risolta con piani molto sintetici, dove alcune parti s’intravedono, non sono risolti completamente. Sulla parte sinistra della figura c’è una parete a richiamo della croce che interferisce ed entra a far parte della figura stessa. La forma della figura è triangolare per ottenere questo slancio verso l’alto. Il volto del Cristo, per la delicata luminosità e lo sguardo spontaneo, velato da un sottile senso di malinconia, è di inconfondibile matrice classica. Nell’incavo della parte posteriore (fatto per alleggerire e rendere più stabile il blocco di legno) sono presenti le figure della Madonna e di San Giovanni, eseguiti a rilievo e anch’essi carichi di intensa espressività [Cappella della Comunità educante, Antica ala Stanze dei Frati].

 

Temi

I principali temi dell’opera di Gregorio Cividini sono fondamentalmente quelli dell’uomo e della natura, delle forme organiche decisamente sintetizzate, della morte, della precarietà dell’esistenza umana. Laura De Campo nota, giustamente, che in Cividini «alla materia lavorata quasi sempre si accosta dialetticamente la “ramificazione primitiva”», e quindi la sua scultura può essere letta come «un ritorno all’origine, il ritrovato contatto con l’ambiente, la sua riappropriazione attraverso l’arte». E Ferdinando Noris, che ha indagato più diffusamente l’itinerario dello scultore martinenghese, scrive: «Attorno a questo viaggio sull’anatomia delle cose, s’innerva il tema più ricorrente  del lavoro di Cividini, quello riferito a una profonda evocazione, di forte connotazione classica, della presenza dell’uomo nel creato […]»; e poco dopo aggiunge «Forme organiche, figure fossili, costruzioni aggregate hanno concorso a creare le metamorfosi che Cividini ha eletto come stimolanti compagne di strada. Una ricreata antologia di simboli di vita». In sostanza, nella scultura di Cidivini emerge spesso o è comunque predominante una profonda visione dell’uomo, che è quella dell’esistenza come patimento, e quindi tragica prigionia. Prigionia che genera la precarietà dell’esistenza e insieme la problematicità profonda e radicale di ogni certezza. Anche questo tema estremamente complesso è spesso rappresentato in modo pregnante nelle sculture di Cividini. Ed è tutto lì: «nel contrasto tra scabrosità e levigazione, tra il calore pieno di vita naturale del legno, la forma pulita espansa, che si scontra con la corteccia ruvida, la brutalità della pietra, la linearità aggrovigliata della corda» (De Campo). E infine, c’è il tema della morte o meglio dell’ombra della morte. Ed è un tema che lo scultore martinenghese affida a figure essenziali, primitive, ricche di pathos, estreme. Si osservi l’opera “Figura con copricapo”: «due chiodi grossi piantati in una lastra di ferro, simboli di un martirio che non sembra avere mai fine e con quel colore del legno che sa di cenere e di ossa». Oppure «Piccolo martirio»: solo l’ombra inquietante di una vecchia roncola che fa da quinta a un torso maschile.

 

Paolano Ferrantino

https://paolanoferrantino.it/

Autore

  • p. Antonio Consonni
  • p. Gianmarco Paris
  • p. Gianluca Rossi
  • prof. Paolano Ferrantino

Data

  • 06/08/2023

Rubrica

  • Esperienze ITALIA

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