.

099. Educare e educarci all’accoglienza dei più fragili
Patto educativo

099. Educare e educarci all’accoglienza dei più fragili

Image

Un viaggio tra educazione dei carcerati, dei senzatetto, dei migranti e apprendimento nella terza età


Aprire all’accoglienza” è il quinto obiettivo del Patto Educativo Globale: “Educare ed educarci all’accoglienza, aprendoci ai più vulnerabili ed emarginati”. Ma cosa significa, concretamente, aprirsi ai più fragili? In un mondo segnato da disuguaglianze e nuove forme di esclusione, l’educazione delle persone più vulnerabili diventa una via privilegiata per costruire una società più umana e solidale.

In questa riflessione ci soffermiamo su quattro ambiti emblematici dell’educazione “speciale”: i carcerati, i senzatetto, i migranti e gli anziani. In ciascuno di questi contesti, educare significa credere nel potenziale di riscatto di ogni persona e nella sua capacità di contribuire al bene comune.

  1. Educazione in carcere

La pena, per essere efficace, non può limitarsi alla privazione della libertà: deve diventare un’occasione di cambiamento interiore e sociale. Ogni detenuto, anche il più colpevole, porta con sé una storia ferita, ma non priva di valore.

L’educazione in carcere è un processo delicato e profondo, che richiede tempo, competenze e fiducia. Non basta correggere comportamenti: bisogna ricostruire la persona. Studio, arte, spiritualità, ascolto e percorsi di reinserimento diventano strumenti di rinascita.

Un carcere che educa è un carcere che riduce la recidiva e restituisce alla società persone nuove. È dimostrato che chi ha potuto studiare in carcere difficilmente torna a delinquere. La sfida è culturale: superare l’idea della pena come vendetta e investirla di senso educativo, promuovendo misure alternative, luoghi dignitosi, relazioni significative e percorsi di consapevolezza.

  1. Educazione delle persone senza dimora

Educare chi vive nella marginalità estrema è prima di tutto un atto di profonda umanità. Chi vive per strada spesso porta con sé traumi, solitudine e fallimenti. In questi casi, l’educazione non è solo trasmissione di conoscenze, ma riscoperta della propria dignità e del senso della vita.

Progetti educativi itineranti e flessibili dimostrano che è possibile accompagnare queste persone secondo i loro ritmi e bisogni. L’educatore diventa un compagno di strada, un testimone di speranza.

La pedagogia degli oppressi di Paulo Freire, la resilienza, e la teoria delle capacità di Sen e Nussbaum ci offrono strumenti per sostenere percorsi che attivano le risorse interiori anche di chi si trova ai margini.

  1. Educazione dei migranti adulti

In un mondo segnato da migrazioni complesse, l’educazione dei migranti è diventata un’urgenza. Educare un migrante significa accoglierlo, riconoscerlo, valorizzarlo. L’insegnamento della lingua è solo l’inizio: serve una formazione civica, interculturale e lavorativa, basata sull’ascolto della storia personale. Molti migranti possiedono titoli e competenze che restano invisibili. È necessario superare queste barriere con il riconoscimento degli apprendimenti pregressi e percorsi personalizzati.

Il passaggio dall’integrazione all’inclusione è decisivo: non si tratta solo di adattare i migranti alla società, ma di trasformare la società in uno spazio più accogliente per tutti.

Le esperienze più avanzate mostrano che la personalizzazione dei percorsi, la formazione degli operatori e il coinvolgimento delle comunità locali sono decisivi per un’inclusione autentica.

  1. Educazione nella terza età

L’aumento della vita media ha trasformato il significato della vecchiaia: invecchiare non è più un ritirarsi, ma un’opportunità. L’apprendimento in età avanzata è possibile e benefico: per la mente, il cuore e le relazioni.

Le teorie dell’andragogia, della plasticità cerebrale e della selettività socio-emotiva dimostrano che anche gli anziani possono apprendere, se l’insegnamento è significativo e legato alla loro esperienza. Università della Terza Età, progetti autobiografici e attività intergenerazionali sono esempi efficaci di lifelong learning.

Imparare a 80 anni è un atto di resistenza alla marginalità e un’affermazione della propria umanità. Significa sentirsi parte della comunità, avere ancora qualcosa da dire, da scoprire, da donare. Educare gli anziani significa educare tutti noi a non temere il tempo che passa, a valorizzare l’esperienza e a coltivare la speranza anche negli ultimi capitoli della vita.

In conclusione

Educare all’accoglienza significa umanizzare l’educazione e umanizzare tutti: educatori e educandi. Aprirsi ai più vulnerabili è un atto pedagogico, spirituale, politico – e profondamente umano. Ogni persona ha diritto di imparare, raccontarsi e ricostruirsi. L’educazione è un gesto di fiducia nella capacità dell’altro di cambiare, e nella possibilità della comunità di rigenerarsi accogliendo.

Come ricorda Papa Francesco, “educare è un atto di speranza”; e aggiungerei che lo è in modo particolare quando educhiamo chi, nella società, è più vulnerabile

Autore

  • Padre Ezio Lorenzo Bono, CSF Segretariato per il Patto Educativo Globale

Data

  • 04/05/2023

Rubrica

  • PATTO EDUCATIVO

Iscriviti alla Newsletter

captcha 
Image
Congregazione dei Religiosi della Sacra Famiglia
© 2023 Congregazione Sacra Famiglia. All Rights Reserved