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Tra alcuni giorni come cristiani celebreremo di nuovo la Pasqua. E’ per noi la festa più importante: ogni anno viene a ricordarci che la vita e la morte di Gesù sono un dono prezioso per la nostra vita, sono un “vangelo”, una buona notizia, perché ci mostrano e sostengono un modo di vivere capace di rispondere al desiderio di felicità che abita ciascuno di noi.
Se ci prendiamo qualche minuto per riflettere sulla Pasqua di Gesù, nascono spontaneamente alcune domande: come può la morte di un uomo, provocata da una ingiusta condanna, essere una buona notizia per altri? Cosa significa che quell’uomo, ucciso violentemente, due giorni dopo essere stato sepolto è risorto, e che i suoi discepoli e discepole lo hanno incontrato vivo?
La risurrezione di Gesù non è un evento di cronaca, che si può conoscere e analizzare, come la sua vita e la sua morte in croce. Ma per noi cristiani è un evento vero, che ha a che fare con la storia. Se Gesù non fosse veramente risorto, il messaggio contenuto nella sua vita e compiuto con la sua morte non sarebbe mai stato compreso dai discepoli, essi non avrebbero cambiato vita in nome di Gesù, e non sarebbe mai nata la Chiesa, che ha storicamente determinato la vita del mondo intero negli ultimi duemila anni.
La risurrezione di Gesù non è un fatto della vita di Gesù che viene dopo il suo seppellimento, come un esito a lieto fine che fa dimenticare quello che è venuto prima. È invece una luce che permette di riconoscere il senso di tutto quello che Gesù ha fatto, dello stile e delle scelte della sua vita. Gesù Risorto parlando ai dodici li aiuta a comprendere che la sua vita, le sue scelte, fino al gesto supremo di lasciarsi condannare a morte, lo hanno portato a vivere in pienezza. Per questo quel modo di vivere merita credito e fiducia.
Credere nella risurrezione non è solo sperare che dopo la nostra morte in qualche modo la nostra vita giunga alla sua pienezza (e non finisca nel nulla), ma credere e sperimentare che la nostra vita di adesso, già prima delle morte, può orientarsi verso una pienezza e assaporarla. Come? Donandoci gratuitamente alle persone che amiamo. Assaporiamo la pienezza della vita mentre accettiamo di donarla, di spenderla, per tutte le persone che siamo capaci di amare.
Chi mi prova che condividendo tutto ciò che sono e che ho con una donna o un uomo sarò felice? Chi mi prova che fidandomi interamente di quell’amico non resterò solo? Chi mi prova che quel tipo di vita o di professione mi soddisferà? La pienezza della vita ci viene incontro solo nella forma di una promessa: è possibile solo credere, affidarci, scegliere di dare credito.
È questa la strada che la vita ci offre: ciascuno la percorre come ritiene più adeguato, facendo le scelte che ritiene più giuste. Vivere da cristiani, donandosi per amore come ha fatto Gesù, non è qualcosa di strano o di superiore rispetto al cammino di ogni uomo in questo mondo. È il modo che noi riteniamo giusto per accogliere e vivere il regalo della vita.
È però un modo che richiede impegno, perché si tratta di rinunciare a quello che sembra dare soddisfazione rapidamente e senza sforzo. Un aspetto del clima culturale in cui viviamo ci porta a vedere la rinuncia, la dilazione o l’attesa come cose senza senso e inutili, e per di più come evitabili. Tutto sembra preparato per evitare ad ogni costo la frustrazione del desiderio; ma ci accorgiamo che su questa strada non troviamo la vita vera. La vita vera invece chiede di affidarsi ad una promessa di pienezza, senza avere prove prima di mettersi in cammino.
La storia di Gesù, che si conclude con la sua morte e risurrezione, mette in luce la logica “pasquale” iscritta nella vita di ciascuno: fidati, credimi, donati per amore, dovunque sei, qualsiasi siano le tue difficoltà o opportunità. Troverai quello che cerchi.