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Le domande di noi educatori
Le nostre Case sono attraversate quotidianamente dalle voci di bambini e di ragazzi -dalle voci ‘in ricerca’ dei bambini più piccoli del nido fino alle parole più profonde dei ragazzi e delle ragazze di 14 anni- voci che rendono vivace, magica e piena di futuro la Scuola che costruiamo ogni giorno. E si sa che la scuola non è mai fine a sé stessa, ma un ponte che traghetta verso il futuro, verso la società di domani. È per questo che una civiltà deve garantire la Scuola più bella possibile per i propri figli, che saranno gli uomini e le donne di domani…
«…Ma quali adulti ascoltano i bambini e i ragazzi di questo tempo con-fuso e incerto?»«…Chi dà voce oggi ai bambini e ai ragazzi per scoprirne gli autentici bisogni e orientarli al bene?» «Se potessero parlare liberamente, le bambine e i bambini; i ragazzi e le ragazze che cosa avrebbero da dire a noi educatori, a noi genitori?»
Se queste domande danno da pensare a un educatore mentre guarda e sta quotidianamente con i bambini e i ragazzi di una scuola, esse acquistano un senso ancora più profondo per i figli che accompagniamo nelle nostre Case famiglia, ‘segnati’ ancora più profondamente nelle loro storie da uno ‘strappo’ dalle loro famiglie d’origine, quindi da quel necessario e fondante legame paterno e materno: «Cosa accade nella testa e nel cuore di un bambino/una bambina collocata fuori dalla sua famiglia di origine?» «Cosa accade nella testa e nel cuore dei loro genitori nel vedersi ‘portare via’ i loro figli, fino al punto dal considerare gli assistenti sociali ‘ladri di bambini’?»
Sulla tutela dei minori. 6° Convegno Erickson, venerdì 5 - sabato 6 maggio 2023
Queste ed altre domande ci hanno accompagnato costantemente nei giorni del 6° Convegno internazionale sulla tutela dei minori che si è svolto a Trento il 5 e il 6 maggio (online e in presenza). Man mano che ascoltavamo le relazioni, le esperienze delle varie comunità di accoglienza, di progettazione del futuro, alla presenza di professionisti/e che operano nei servizi sociali, nelle scuole, nel terzo settore e nel volontariato, mentre ci scambiavamo idee e opinioni, a partire da ricerche ed esperienze realizzate in Italia e all’estero, ritornavano nelle nostre menti e davanti ai nostri occhi i bambini e i ragazzi che viviamo e accompagniamo ogni giorno.
I diversi interventi a cui abbiamo preso parte nel corso del convegno rimandano tutti ad una rivoluzione del modo di intendere il concetto di ‘tutela del minore’ (minore= ogni figlia/figlio da 0 a 18 anni, anno della maturità). Moltissimi studi e svariate ricerche nazionali ed internazionali, infatti, mostrano come oggi, tutelare un minore non significhi soltanto proteggerlo da quanto di pregiudizievole accade nel suo mondo, ma altresì considerarlo come parte attiva del progetto di tutela, interessarsi ai suoi desideri, bisogni, aspettative e ascoltarlo, coinvolgerlo in ogni fase del percorso fornendogli tutte le informazioni necessarie perché egli possa comprendere la situazione.
Il convegno ci ha sollecitati a gran voce, nella direzione di questa prospettiva, attraverso un appello forte e chiaro, contenuto finanche nel titolo dell’evento: «prendiamoci cura di me»! Con questa espressione si vuole stimolare alla riflessione sul concetto di partecipazione, a pieno titolo, dei bambini e ragazzi che si trovano ad affrontare un percorso di presa in carico da parte dei Servizi di tutela minorile. Non vi è scritto ‘prenditi’ e neppure ‘prendetevi’, ma ‘prendiamoci’: ancora una volta il focus è posto sull’importanza della partecipazione dei protagonisti alla progettazione e realizzazione dei propri percorsi di aiuto. Gli operatori, infatti, non possono agire da soli, ma è importante ed auspicabile che si lascino aiutare dai veri “esperti per esperienza” della situazione: i bambini e i ragazzi che accompagnano.
Inoltre, vi è un invito ad assumersi la responsabilità di prenderci cura del bambino che è dentro di noi (di me), ma anche quello che i nostri occhi incontrano ogni giorno e, anche se i bambini e i ragazzi sono tanti e tutti non li possiamo raggiungere, ciascuno deve essere visto nella sua individualità.
Il Convegno ha inteso favorire la riflessione sui principi fondanti della tutela minorile: rispettare diritti e desideri di bambini e ragazzi; valorizzare le capacità e l’esperienza dei genitori; favorire il coinvolgimento di bambini e genitori nei progetti di tutela; lo scambio tra i professionisti che operano con bambini e ragazzi in difficoltà nei servizi sociali, nelle scuole, nei servizi sanitari, nel Terzo settore e nel volontariato.
Se quando si partecipa a un convegno solitamente s’avverte l’impressione di una frammentazione delle questioni e delle pratiche proposte, in questo Convegno abbiamo avvertito uno stile e un lavoro metodologico unitario e coerente, che si sta rafforzando a livello nazionale ed internazionale nonostante le fatiche della vita quotidiana e professionale. Lo stile proposto, di nuovo, è quello della ‘partecipazione’, che pone le sue radici teoriche e pratiche nel metodo del relational social work (RSW). La sfida della partecipazione dei bambini, così come delle loro famiglie, è ancora più ‘sfidante’ quando i piccoli sono allontanati dalle famiglie di origine e collocati in comunità o in affido. È in queste situazioni che gli operatori sono chiamati a fare ancora più attenzione a non escludere dai processi riflessivi e decisionali coloro per i quali si deve decidere.
Attorno ai minori, nell’ambito dei servizi di welfare e di protezione, ruotano una serie di questioni delle quali è complesso rendersi conto fino in fondo. Ne facciamo un breve elenco, in modo da permetterci di ‘vedere’ la complessità e la problematicità delle storie questi bambini e ragazzi: il ‘dramma’ dell’Allontanamento e rientro in famiglia; la ‘qualità’ delle Relazioni educative nelle comunità di accoglienza; la ‘capacità’ di Ascoltare e la partecipazione di bambini e ragazzi; le questioni della Disuguaglianza, ingiustizia e povertà minorile; l’uso delle Tecnologie, social media e relazioni d’aiuto; la ‘qualità’ delle Politiche sociali per la cura di bambine e bambini; come Affrontare i traumi e le esperienze sfavorevoli; come ascoltare la voce dei careleavers (i neo-maggiorenni in uscita da percorsi di accoglienza residenziale in comunità); la Cura e protezione degli “orfani speciali”; la Violenza contro le donne e tutela dei minori; il Lavoro con famiglie con background migratorio; Povertà educativa e sostegno alla genitorialità; la Presa in carico della sofferenza psichica di bambini e ragazzi; la Valutazione delle competenze genitoriali; le Dipendenze; la Voce dei genitori affidatari e affidanti, ecc
La Sacra Famiglia e la cura dei PIÚ ‘piccoli’
Cosa ci facevamo come religiosi e laici della Sacra Famiglia a un Convegno sulla tutela dei minori? La Congregazione non si è dedicata oramai alle Scuole e ad accompagnare questi figli con le loro famiglie?
Da quando è stata avviata l’esperienza della Casa Famiglia della Comunità di Orzinuovi -che del carisma della Cerioli verso i bambini e le bambine orfane vuole essere un approfondimento (una maggiore visibilità), per cui non si pone in alternativa all’azione educativa e didattica della scuola, ma nella sua integrazione ne fa risplendere la sua originalità- abbiamo avvertito sempre di più, come operatori, la necessità di capire, di conoscere, di formarci. Nei bambini e nei ragazzi della Casa Famiglia vengono radicalizzati e scoppiano quegli aspetti educativi che segnano la vita di ogni bambino, di ogni ragazzo dei nostri giorni. E stare vicini a loro nella vita quotidiana, ‘accompagnarli’ nel tratto di strada della loro presenza in casa famiglia, condividere gioie, dolori e domande, richiede negli educatori non solamente una ‘vocazione’, ma anche una ‘professionalità’ che si guadagna stando con loro, vivendo con loro, affrontando insieme a loro un tratto di strada spesso accidentato e sconosciuto.
Alla Casa Famiglia, del carisma educativo della Cerioli, stiamo imparando:
a ‘dare voce’ ai bambini e ai ragazzi e a lasciar emergere le loro ‘rabbie’, legittimandole e accompagnandole, più che a dare indicazioni su che cosa devono fare, come contenersi, indicare un’unica direzione;
a ‘dare voce’ ai nostri sentimenti di educatori nella relazione che viviamo con loro e, soprattutto, ad interrogarci sul modo migliore per ‘connetterci’ al loro mondo, ai loro mondi interiori, molto diversi dai nostri;
a ‘rispettare’ (e a far partecipare per quanto possibile) le famiglie di origine che, se si sono viste togliere i figli per inadeguata genitorialità, rimangono pur sempre il loro papà e la loro mamma, e quel legame nessuno potrà cancellare;
a sentirci parte di un progetto di senso più grande, una rete di relazioni che costruiscono il mondo di oggi e di domani.
Crediamo che una riflessione a livello di Congregazione delle pratiche/delle modalità di stare con i bambini e i ragazzi (e con le loro famiglie) nei nostri centri educativi come nelle parrocchie avrebbe di che arricchirsi nel confronto con lo stile che, necessariamente, si adotta all’interno di una casa famiglia.
CONCLUSIONE. Quando riuscì ad ascoltare in una voce flebile, il grido sconnesso di Adele -la prima bambina orfana della sua nuova famiglia- s. Paola Elisabetta, aprì il portone del suo Palazzo, perché ormai era il suo cuore ad essere ‘aperto’, accogliente, libero. Aperto il suo portone, l’accompagnò tra i corridoi e le stanze del suo Palazzo, la lavò amorevolmente, la rivestì, l’accompagnò davanti a Dio e infine le diede un grande abbraccio: quelle braccia erano il suo cuore ormai accogliente e puro. Da quel giorno -era il 3 aprile 1855- la casa cominciò a pullulare di bambine che ruppero il clima ingessato della nobiltà del casato Cerioli e del Busecchi-Tassis, suo marito, e le loro voci divennero per lei il canto, il nuovo canto del suo futuro, mentre per i parenti divennero minaccia e accusa di follia.
Finché continueremo a sentire VOCI di bambini e ragazzi nelle nostre Case e finché educatori e insegnanti sapranno porsi in ascolto e ‘daranno voce’ ai bambini e ai ragazzi che ogni giorno accompagnano, ci sarà futuro e la Congregazione sarà la Casa che anche la Cerioli continua ad abitare.
Dare voce ai bambini e ai ragazzi che frequentano le nostre scuole non è arrendersi all’inevitabile declino dell’educazione e della scuola -di cui tutti parlano come emergenza educativa- ma accordare credito e fiducia al futuro.
Ben White su Unspalsh
[1] È da precisare che la povertà economica è spesso anticamera della povertà educativa e, in questo mondo che pone al centro la questione del benessere economico, significa che questi ragazzi sin dall’infanzia si vivranno come emarginati sociali e culturali: cosa genererà in loro e nelle loro famiglie tutto questo?