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IL FATTO. Il popolo di Dio (la Chiesa) ha voluto mettersi in cammino da quando, il 10 ottobre 2021, papa Francesco ha convocato la Chiesa in Sinodo per realizzare e costruire «una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione». Le Chiese di tutto il mondo hanno così avviato la consultazione del Popolo di Dio, sulla base dell’interrogativo di fondo: «Come si realizza oggi, sia a livello locale che universale, quel “camminare insieme” (questo è il significato della parola sinodo) che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?» [DP, n. 2]. Diventare una Chiesa sempre più sinodale manifesta la nostra identità e la nostra vocazione: camminare insieme è il modo per essere davvero discepoli e amici di quel Maestro e Signore che ci guida al senso della vita e alla verità di noi stessi. Con il materiale raccolto durante la FASE DELL’ASCOLTO, e in particolare dei Documenti finali delle Assemblee continentali (2021.2023), è stato redatto un Instrumentum Laboris con il quale si chiude la prima fase del Sinodo, e si apre la seconda, la FASE DEL DISCERNIMENTO e dei PASSI CONCRETI, articolata nelle due sessioni di ottobre 2023 e ottobre 2024. Questa seconda fase ha l’obiettivo di rilanciare il processo e di incarnarlo nella vita ordinaria della Chiesa, identificando su quali linee lo Spirito ci invita a camminare con maggiore decisione come Popolo di Dio.
Alla prossima Assemblea sinodale (Roma, 4-29 ottobre 2023) i membri arrivano carichi dei frutti raccolti durante la fase dell’ascolto. Ci raccontano: «innanzi tutto abbiamo fatto esperienza che l’incontro sincero e cordiale tra fratelli e sorelle nella fede è fonte di gioia: incontrarci tra di noi è incontrare il Signore che è in mezzo a noi! Poi abbiamo potuto toccare con mano la cattolicità della Chiesa, che, nelle differenze di età, sesso e condizione sociale, manifesta una straordinaria ricchezza di carismi e vocazioni ecclesiali e custodisce un tesoro di varietà di lingue, culture, espressioni liturgiche e tradizioni teologiche. […]. Ugualmente abbiamo scoperto che, pur nella varietà dei modi in cui la sinodalità è sperimentata e compresa nelle diverse parti del mondo sulla base della comune eredità della Tradizione apostolica, ci sono interrogativi condivisi: fa parte della sfida discernere a quale livello è più opportuno affrontare ciascuno di essi. Altrettanto condivise sono alcune tensioni. Non dobbiamo esserne spaventati, né cercare di risolverle a tutti i costi, ma impegnarci in un costante discernimento sinodale: solo in questo modo le tensioni possono diventare fonti di energia e non scadere in polarizzazioni distruttive».
LA NOVITÀ. Questo Sinodo segna una radicale novità nella vita della Chiesa: per la prima volta al Sinodo, oltre ai vescovi, avranno diritto di voto anche i religiosi e i laici. Con l’intervento di papa Francesco, esposto in un comunicato della segreteria del Sinodo (27 aprile 2023), si è stabilita una procedura sinodale che segna una radicale novità nella vita della Chiesa; non certo una rivoluzione, ma certamente una “riforma”, la prima vera riforma tentata da questo Papa.
Così dopo secoli comincia a cadere quel muro di separazione tra gerarchia e popolo, tra chierici e semplici fedeli, e anche in parte tra uomini e donne, che aveva determinato il volto dell’assemblea ecclesiale. Com’è noto finora ai Sinodi, detti con ragione Sinodi “dei vescovi”, nella Chiesa cattolica erano ammessi alcuni chierici, normalmente capi di istituti clericali di vita religiosa, in numero ristretto (una decina, su duecento vescovi), ed erano escluse sia le religiose (monache e suore), sia i monaci e i religiosi laici. Non si prendeva neanche in considerazione la partecipazione di semplici fedeli che insieme agli altri padri sinodali potessero con il voto manifestare il loro parere.
Al Sinodo di ottobre avranno invece diritto di voto non solo tutti i vescovi presenti, ma anche dieci religiosi e dieci religiose rappresentanti della vita religiosa che li ha eletti, e poi anche settanta fedeli laici, uomini e donne, segnalati dalle Conferenze episcopali continentali in numero di centoquaranta e poi scelti dal Papa.
Accordando il potere di voto a sorelle e fratelli laici, religiosi o semplici cristiani, papa Francesco di fatto riconosce un’autorità del popolo di Dio e permette che questa si manifesti in un Sinodo dei vescovi. Si è detto che questo voto concesso ai fedeli non vescovi è «nel registro della memoria, non della rappresentanza», ma ciò che è importante è la partecipazione dei laici non solo alla fase preparatoria, ma anche alla celebrazione vera e propria del Sinodo, quella che ha a che vedere anche con il frutto del discernimento, con le scelte e le possibili decisioni per il futuro della Chiesa.
Ciò che muta profondamente il Sinodo dei vescovi è l’assunzione delle votazioni da parte dei fedeli con la stessa autorità delle votazioni dei vescovi. Ci si chiede, quindi, se il voto nel Sinodo sarà decisivo, cioè atto a deliberare e in base a quale principio. Nella Chiesa -che è un’assemblea di fede, il corpo di Cristo, e non l’assemblea di un partito politico- non devono regnare criteri mondani. E non sarà il criterio di maggioranza ad autorizzare la decisione finale: questo sarà un criterio orientativo per l’autorità e per tutta la comunità, ma alla fine la decisione spetterà a chi presiede. Certo, se l’autorità riscontra l’inesistenza di una maggioranza chiara, netta, dovrà prendere, se necessario, una decisione provvisoria per non paralizzare il cammino comunitario, ma si impegnerà a tornare sull’argomento e a rendere possibile una nuova valutazione e una nuova votazione.
Se il Sinodo si realizza come un processo e un evento dell’ascolto – innanzitutto dello Spirito e del Vangelo – inizierà un cammino di riforma della Chiesa e si farà un passo verso l’unità visibile delle Chiese. Ma se questa riforma fosse un’operazione di maquillage, non solo la delusione sarebbe grande, ma non si coglierebbe un kairós per la Chiesa.
LA PROSPETTIVA. Di fronte alle sfide sempre più grosse della contemporaneità, papa Francesco ci ricorda che scopo del Sinodo non è produrre nuovi documenti, ma «far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazione, resuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’atro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani». E lo stesso papa Francesco ci indica nel metodo e negli strumenti della spiritualità ignaziana -nella quale anche la nostra Fondatrice si era immersa attraverso i suoi sacerdoti per elaborare il lutto della sua vita- la direzione per la sua realizzazione.
Per la metodologia di lavoro dell’Assemblea sinodale, cioè il metodo della conversazione nello Spirito; per lo stile di ascolto e di dialogo, non alla maniera di un parlamento, ma dello ‘Spirito’ attraverso la voce degli umani e di tutto il popolo di Dio; per il discernimento in comune per vivere un processo spirituale di «ricerca della volontà di Dio» e non il dinamismo degli organi parlamentari, in cui il confronto si conclude con un voto che divide maggioranza e minoranza; per il discernimento in comune che non ha paura di identificare i blocchi che ostacolano il cammino e approfondire le questioni su cui non è ancora maturato un sufficiente consenso, ma anche riconoscere nelle consolazioni i passi da compiere… viene fuori un’immagine di chiesa che guarda al futuro in stile sinodale. A questa ‘esperienza’ le nostre comunità parrocchiali, e le nostre comunità religiose hanno molto da apprendere per la definizione della loro futura identità e missione.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay